Body Art di Don DeLillo

Il tempo sembra passare. Il mondo accade, gli attimi si svolgono, e tu ti fermi a guardare un ragno attaccato alla ragnatela. C'è una luce nitida, un senso di cose delineate con precisione, strisce di lucentezza liquida sulla baia. In una giornata chiara e luminosa dopo un temporale, quando la più piccola delle foglie cadute è trafitta di consapevolezza, tu sai con maggiore sicurezza chi sei. Nel rumore del vento tra i pini, il mondo viene alla luce, in modo irreversibile, e il ragno resta attaccato alla regnatela agitata dal vento.

giovedì 19 novembre 2009

Sulla poesia (si fa per dire) di Sandro Bondi.


Chi non ha mai scritto versi poetici durante l’adolescenza?
Di solito però gli strazi del cuore, i bollori erotici, il fuoco della ribellione, tipici di quell’età così ingenuamente vanesia e audacemente vanitosa, così spavaldamente eroica e burrascosamente passionale, seppur affidati a parola scritte, restano pur sempre parole "solo nostre". Poiché a quell’età, in cui un giorno ti senti sorretto da una volontà di potenza senza limiti e l’altro atterrito da una melanconica malinconia senza uscita, è quasi inevitabile per alcuni rigurgitare inchiostro su candide pagine, inciderle con parole che sono altrettante ferite, cicatrici scure destinate però quasi sempre all'oblio di un cassetto segreto. Sono parole affidate a un diario. Parole mute ripiegate in una lettera mai spedita. “Versi” a esclusivo uso personale – che non prevedono utilizzatore finale – semplici (o complessi) sfoghi liberatori su carta, che se mai decidessimo, infine, di offrire alla critica lettura di un amico fidato, dell’amico del cuore (quell’unico essere umano in grado di comprendere le vibrazioni linguistiche della nostra anima poetica), lo faremmo comunque con un certo evidente imbarazzo, mentre senz'altro un fuoco vivo ci colorerebbe le guance e la trachea si avvilupperebbe in un soffocante nodo gordiano!
Se poi, malauguratamente o fortunatamente, a qualcuno di questi stagionali “poeti” – per lo più in preda a deliri mitomani, ma talvolta (si sa mai) guidato dalla veritiera sensazione di essere in possesso di una certa talentuosa genialità - fosse venuto in mente di inviare i propri scritti a un editore, compito di quest’ultimo, senza pietà alcuna, sarebbe stato sì quello di vagliare attentamente e criticamente il testo, ma poi, nella triste eventualità, anche quello di, professionalmente e inevitabilmente, "stroncare", con cinica e chirurgica lucidità, il mitomane di turno, onde evitare di imbrattare con insignificante inchiostro le compiante vestigia di preziosissima natura. Viceversa, scorgendo tra le righe l’indubitabile talento, l’accecante genialità, l'editore avrebbe altresì avuto il dovere, con altrettanta lucidità, di offrire senza indugio le preziose parole così fortunosamente rinvenute, all’umanità intera. O almeno ai propri lettori.
E' chiaro quindi che la decisione di pubblicare gli scritti bondiani da parte del direttore di Vanity Fair, Luca Dini, ci incuriosisce profondamente, ci spiazza, ci demoralizza, ci atterrisce e infine sollecita in noi smottamenti gastrointestinali di portata apocalittica: il "big one" della scoreggia! Ci preme insomma tentare di comprendere quale recondito criterio letterario o meno possa aver guidato la scelta editoriale di cotanta impegnata rivista. Perchè mai il nobile e professionale Dini, invece di fare della miseria poetica del Bondi palle di carta utili per il tiro al cestino, oppure conservarne i manoscritti ad uso invernale, magari per una propria (eventuale) magione di campagna classicamente, si sa, munite di romantico caminetto (antico e nobile inceneritore di "cazzate") abbia invece deciso di rendere pubblici i puerili deliri del sedicente poeta (è con un senso di assoluta inadaguetezza lessicale che ci riferiamo a Sandro Bondi in questi termini), resta davvero un mistero imperdonabile.
Avrà forse Dini avuto onorevoli quanto utilissimi scopi didattici? Come dire: giovani aspiranti poeti ecco cosa non è autentica poesia, in nessuno dei sensi che il sostantivo “poesia” possa ragionevolmente evocare. Oppure la redazione di Vanity Fair è zeppa di “orridi comunisti” senza scrupoli che intendono così, maliziosamente, gettare cascate di ridicolo, una vera e propria esondazione di vergogna, sul legittimo governo delle destre democraticamente eletto, mentre l’ignaro e mite Bondi, ingenuamente lusingato da cotanta pubblica(ta) attenzione, non si accorge di nulla. Oppure si tratta di un'operazione di satira grottesca (d'altra parte particolarmente esilaranti le opere bondiane lo sono davvero). Solo che senza curarsi di segnalare in qualche modo tale intento, senza cioè la cornice satirica adeguata, ciò che rimane, ahimè, sono solo le risate destate dal ridicolo.
Ad ogni modo noi sprovveduti lettori, critici improvvisati, amanti ingenui delle lettere e della letteratura, osiamo sperare che il direttore Dini ci spieghi. Noi che ci portiamo dentro questo cruccio insopprimibile, perché sappiamo – basterebbe d'altra parte una breve circumnavigazione per la rete per rendersene conto – che di talenti autentici – poetici, ma non solo - ce ne sono eccome – desideriamo con ogni fibra del nostro essere che ci venga svelato l’arcano: perché Bondi? Perché assecondare l’ego poetico/patetico (tanto malauguratamente smisurato, quanto inauditamente ingiustificato) dello sprovveduto Bondi, anziché cogliere la doverosa occasione di offrire a tale maldestro scrittore una critica sincera, facendo l’unica cosa che chi fa con passione e responsabilità il mestiere del direttore Luca Dini avrebbe dovuto fare, ovvero relegare la stucchevole "bava di seppia" di Bondi al più totale anonimato. Se non altro come segno di rispetto nei confronti di tutti quei talenti, ingiustamente inediti, che hanno la semplice sfortuna di avere semplicemente grandi sentimenti, enormi capacità percettive e grande padronanza della lingua, senza però essere politicamente onorevoli, senza avere cioè l'onore (o il disonore) di passare di tanto in tanto davanti a qualche televisiva telecamera di massa... (segue… con esempi concreti e critica puntuale dei versi bondiani).

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